mercoledì 19 dicembre 2012

Lettere dal passato


Vorrei che tu mi scrivessi una lettera. Di quelle che usavano i nostri genitori, con la carta bianca, un po' ingiallita ai lati, e l'inchiostro blu.
Come quelle che ha mia madre, nascoste sul fondo di un cassetto, che le scriveva il suo primo fidanzatino.
Vorrei che il postino suonasse alla porta; una busta col mio nome sopra; l'emozione nell'aprirla, con cura, per non sciupare la busta.
Sentire il profumo dell'inchiostro impresso sulla carta, l'accuratezza del tratto, la pressione della mano più pesante quando le frasi sono più sentite. 
Vorrei accarezzare le parole, sentirle sotto le dita.
Immaginarti pensante, con la tua penna preferita in mano, scelta apposta per l'occasione, o con una penna trovata per caso, perchè l'urgenza di scrivermi era troppa.
Sentire il tuo profumo.
Sentire il tuo sapore attraverso lei.
Vorrei che tu ricordassi il mio indirizzo di casa, non solo quello elettronico.

giovedì 8 novembre 2012

Sorriso



La pioggia bagnava la finestra. Piangeva le lacrime che lei non aveva il coraggio di versare. Uno strano silenzio sorrideva e sussurrava in quella casa ormai vuota.
 Fissava attonita la mezza carota sul tavolino.
Allo stesso modo, nella gabbietta, la coniglietta fissava l’altra metà.
Stessa cena, stesso sguardo.
In mano teneva una lettera, le ultime parole di sua madre.
Le avevano detto, quando iniziò a stare male, che si era presa solo un malanno. Ma quel malanno l’aveva uccisa, lentamente, inesorabilmente.
Il funerale era appena finito. Qualcuno le era passato accanto e con un buffetto sulla spalla le aveva detto "Coraggio". Si stupì. Il ricordo della sensazione del coraggio si stava affievolendo. Si provò a lottare, a recuperare un pensiero felice. Ma non riusciva a sentire niente. Sua madre era morta e lei non sentiva niente. Forse era quello il Dolore, il dolore con la D maiuscola. Il Dolore annulla tutti gli altri sensi, tutte le altre emozioni. Il Dolore annulla tutto. Come se una voragine le si fosse improvvisamente aperta all'interno risucchiandola, e in quella voragine non c'era niente. Come in una vasca di privazione sensoriale, solo che la voragine ti privava anche dei pensieri.
Con le dita tremanti e gli occhi voraci si apprestò a spiegare quel pezzettino di carta con sopra il suo nome.
“Sorridi sempre, anche quando bruci, anche quando sanguini, anche quando piangi.
Sorridi sempre.
Sii una donna forte, sii una donna che sorride. Respira il mondo e respingilo.
Sappi che un sorriso è l'arma più pericolosa e potente che esista: un sorriso disarma.”
Era quella sua madre.
In quelle poche e semplici parole, c’era tutta sua madre. Gli occhi marroni, come di legno che sapeva d’antico, i capelli ribelli sempre costretti in un elastico che sembravano seta, il sorriso freddo e gentile. Potente.
Fuori non pioveva quasi più, solo qualche plic plic sulla tettoia di latta.
Una lacrima le scese lungo il viso e incontrò, baciandolo, un sorriso.
Il primo di una infinita serie.

lunedì 5 novembre 2012

Chopin

Le mie lacrime sono
in anticipo, le mie
risa in ritardo. Io
son bloccata nel mezzo.
Ama le mie macerie.
E suonami uno Chopin.

martedì 2 ottobre 2012

Notte


E' una notte infinita.
Il buio crolla sorridente
nella sua sottile crudeltà.

sabato 22 settembre 2012

Occhi

Due grandi occhi marroni,
loro non mentono mai:
non hanno bisogno di
nascondere amore per me.

giovedì 20 settembre 2012

Sollievo.


Camminava per la strada, tra la gente. Non teneva gli occhi bassi, il suo viso era fiero, gli occhi sgranati, desiderava il contatto visivo, lo bramava. Ma nessuno era disposto a ricambiare lo sguardo: erano tutti troppo presi da una vita frenetica o dai propri guai. 

La gente non ti guarda più negli occhi.

La sua era una ricerca smaniosa. Forse segretamente sperava di trovare qualcuno che colmasse la solitudine che si trascinava stancamente addosso fin da bambino, fin da quando nemmeno te ne accorgi, ma ragioni come e meglio di un adulto e senti come e meglio di un adulto, solo non hai le parole e l'esperienza per capirlo. Era in viaggio fin da allora, fin dai 9 o 10 anni, un viaggio continuo da più di 20 anni, che aveva avuto mete effimere e fugaci, o forzatamente volute salvo poi dimostratesi fallimenti. 

Cosa cerco in realtà?

La più frequente e dolorosa domanda che si poneva. La risposta non era mai uguale, non era mai scontata, ma fondamentalmente cercava, e lo sapeva, solo qualcuno da Amare. Non un amore romantico, uno di quelli di cui tutto il mondo si riempie la bocca. No. Cercava un amore profondo che esulasse dall'esser imprigionato in una coppia, in una relazione etichettata, di qualsiasi natura essa fosse. Voleva proteggere e sentirsi protetto, voleva consolare ed esser consolato, ridere e far ridere, fidarsi e vedere quella fiducia ricambiata, piangere senza vergogna, abbandonarsi.
Ma il mondo era un posto spento e cupo, e la gente si sentiva sicura ingabbiata in relazioni dovute e moralmente accettate in cui fingeva di stare bene,in cui aveva paura di provare dolore, in cui aveva paura che l'altro potesse scoprirlo. 

L'uomo non ama il branco, sebbene si ostini a viverci.





Aveva gli occhi grandi e spaventati. Due grandi occhi neri che non abbassava quasi mai. Le mani si contorcevano freneticamente tra di loro, in una incerta danza a metà tra il sollievo e il male. Se ne stava all'ombra di un enorme palazzo, il più invisibilmente possibile. Nessuno la guardava.

Meglio così, meglio così.

Se lo ripeteva a lungo. Meglio così. Il suo mantra. Se solo l'avessero guardata, avrebbero visto il suo dolore; no,  peggio, avrebbero visto il suo Schifo. Il suo Buio. Quel luminoso Buio che si portava dentro. Un buio fosforescente.

 E' talmente bravo nel suo lavoro che nessuno mi guarda più.

Le persone preferivano distogliere lo sguardo da lei, piuttosto che vedere una donna fragile che si porta addosso ancora il marchio di ragazzina interrotta. Perchè se si fossero fermati  a guardarla, avrebbero dovuto  provare pietà  e l'etica morale/religiosa/sociale avrebbe imposto loro di darle qualche spicciolo del proprio interesse. L'avrebbero guardata con pena.
Così, saggiamente, il mondo aveva trovato l'escamotage più stronzo del mondo: non guardare per non sapere.
Ma lui, il Buio, continuava a brillare.
Eppure avrebbe voluto sentirsi felice anche lei, una volta o due. Avrebbe voluto non dover sempre tenere sotto controllo la situazione, con gli occhi sempre vigili e attenti. Avrebbe voluto abbandonarsi.




Dall'altra parte della strada un uomo la stava guardando, dritto negli occhi.
Un solo istante di quello sguardo bastò ad entrambi per capire che la ricerca era finita.  Un sorriso  si accese sul volto dell'uomo e lei lo sentì esplodere in mille frammenti di luce.
"Ti stavo cercando da tantissimo tempo."
"Ti stavo aspettando da tantissimo tempo."

giovedì 9 agosto 2012

La Cura - II Parte


 Naturalmente Sara era la cura più ambita; tutti credevano di poter trovare il balsamo per le proprie ferite in lei.
Una volta, uno dei ragazzi più intraprendenti le chiese: “Di che tipo di uomo ti innamoreresti?”
“Io mi innamoro delle persone, non di uomini o donne.”
Una risposta che lasciò basiti in molti, e alimentò il sospetto che la diversità dell’eterea ragazza, fosse ancora più marcata nei suoi gusti sessuali.
Asia si manteneva sempre a distanza, sebbene anch’ella cercava inconsciamente di attirarne l’attenzione. Sara le faceva paura: Era la creatura più strana che avesse mai incontrato; provava una sorta di invidia poiché tutto ciò che faceva, Sara lo faceva meglio, tutto ciò che sapeva, Sara ne sapeva di più, tutto ciò che avrebbe voluto fare o conoscere, era già nelle corde di Sara. Eppure non la ostentava mai, la finissima intelligenza.
Un giorno in cui la frustrazione e l’esasperazione per l’ennesimo fallimento portarono Asia sull’orlo del baratro, pronto a risucchiarla giù in un vortice di droga, alcol e dolore, Sara le si avvicinò con quel sorriso caldo e gentile.
“Mi chiedevo come mai non parli mai con me.”
Non era affatto una domanda, ma una affermazione a cui la risposta non poteva essere negata.
“Cosa?”, balbettò Asia confusa.
“Oh, temo che tu mi stia giudicando vanitosa in questo momento. Ma vedi, ho parlato e sorriso e ascoltato tutti in questa sala. Tutti meno che te. Ecco, mi chiedevo se ti avessi potuta offendere in qualche modo.”
Nemmeno questa volta vi era il punto interrogativo.
“Perché pensi questo?”
Inesorabilmente venne a galla la differenza profonda tra loro: una piena di punti interrogativi tra le braccia a farle da scudo, l’altra che brandiva certezze e punti, come un fioretto affilato.
“Continui a non rispondermi. Questo aumenta le mie perplessità.”
Un sorriso che spaccava l’anima, dopo che il fioretto te l’aveva segnata.
"Io non... " balbettò "Per nessun motivo, cioè non c'è un motivo particolare. Non c'è stata occasione."
Sara inclinò leggermente la testa di lato, senza mai smettere di sorridere.
"Ah" disse "Capisco. Beh ora abbiamo creato l'occasione, potremmo sfruttarla, magari andando a prendere un caffè"
Il primo impulso di Asia fu di rifiutare, aveva paura e soggezione, ma quegli occhi la scrutavano dentro: sembrava che Sara fosse perfettamente al corrente di ciò che stava pensando e provando, così si risolse ad accettare. Solo per deluderla. Solo per sfida.
Quello fu il primo caffè di una lunga serie. Dopo ogni seduta col gruppo, il piccolo rituale si ripeteva: un sorriso di Sara, un cenno di assenso di Asia e si ritrovavano sedute allo stesso tavolino del bar in fondo alla strada. Non si scendeva mai nel personale,  si parlava di niente e di tutto anche perchè Asia creava spesso un muro difensivo così alto che era impossibile valicarlo. Credeva di mascherare le proprie debolezze al mondo, credeva che il muro potesse proteggerla da ciò che c'era all'esterno, era sicura che nessuno l'avrebbe mai capito, ed in effetti nessuno l'aveva mai capito prima di Sara, che una sera esordì con:
"E' strano parlare con te. Mi hai invitata davanti la tua casa, nel tuo profondo, ma mi hai lasciata chiusa fuori. C'è un insormontabile muro, non ci sono porte per attraversarlo nè appigli per scavalcarlo, c'è solo una piccolissima finestra, dalla quale mi parli tu. Mi piacerebbe vedere cosa tieni custodito nella tua casa-anima. Ti svelerò un piccolo segreto: oltre la porta della mia casa, c'è un lunghissimo corridoio denso di buio, terribile, ma se riesci a superarlo ed arrivare alla porta d'uscita ti troverai immersa in un giardino, e sotto un enorme salice piangente, ci sono io, seduta con in mano un libro. So che non hai mai parlato dell'anima di una persona come se fosse un luogo, ma a me viene naturale farlo. Credo che dovresti iniziare. Sarà più facile poi capire te stessa e gli altri."
"Nemmeno tu mi lasci attraversare la tua porta. Mi piacerebbe vedere quel giardino"
Il sorriso di Sara si incupì.
"E' vero, ma c'è puzza di anima morta, non sarebbe bello da visitare. In realtà,  passo la mia vita nel corridoio buio. La notte è una madre amorevole."
E il suo sguardo si perse oltre la vetrina. Erano così le conversazioni tra loro: dense di significato, seppur scarne di parole.


CONTINUA

martedì 31 luglio 2012

La Cura



"Se solo ne avessi avuto il tempo" pensò.
Se solo avesse avuto più tempo avrebbe potuto salvarla, trovare la cura. Invece adesso giaceva morta tra le sue braccia.
Sara.
Un mondo a sé stante.
Quando la conobbe le era sembrata insignificante: cosa aveva di tanto speciale? Restava sempre in silenzio durante le conversazioni, raramente si esponeva pubblicamente, era come se volesse restare in ombra, una osservatrice esterna. Si erano conosciute in uno di quei gruppi di sostegno, entrambe con problemi di droga alle spalle, seppur roba leggera. Il gruppo era una accozzaglia di gente, persone che realmente avevano problemi e volontari, che si mascheravano da drogati. Si parlava di molte cose, specie in gruppetti da 3 o 4 persone, non si parlava mai apertamente di droga, ma quando qualcuno si sentiva a proprio agio, protetto e non giudicato, raccontava la propria storia. 

Sara non la raccontò mai pubblicamente. Sara ascoltava. Sara sorrideva gentilmente. 

Asia era in quel gruppo da molto più tempo, quando Sara,timidamente, varcò la soglia per la prima volta. Gli sguardi di tutti furono catalizzati da lei, che sembrava un cerbiatto in una gabbia di puma. Non era affatto bella, i difetti fisici erano evidenti, ma tutto scompariva, tutto il resto veniva oscurato quando si incontravano i suoi occhi: scuri, profondi, antichi, come un legno che ha vissuto troppe vite, dolci eppure vivissimi; sembravano bucarti l'anima.
Fin dal primo istante, divenne il fulcro attorno al quale tutto il gruppo ruotava. Ogni discorso, ogni sguardo, ogni sorriso era volto alla sua conquista. Ma lei era fredda con tutti, fredda e gentile. Sapeva tenerti a distanza facendoti comunque sentire speciale. E non smetteva mai di sorridere, sebbene il suo, era un sorriso triste.
Il gruppo di sostegno si chiamava "La Cura" e si basava sul principio postulato da un giovane psicologo sul quale nessuno avrebbe mai scommesso un soldo. In un gruppo così variegato di persone, con problemi di ogni natura, ogni paziente (anche se questo termine non veniva mai utilizzato. I partecipanti si chiamavano "usufruitori") avrebbe trovato qualcuno simile a sé o talmente diverso, da riuscire a confidarsi, scavando profondamente nella propria coscienza, questi avrebbe poi, naturalmente e senza sforzo, fornito la cura per ricominciare a vivere. Un processo spontaneo, che creava un legame indissolubile tra due persone, privo di qualsiasi fondamento scientifico ma che, incredibilmente, funzionava. Già in molti avevano trovato la propria cura, scambiando spesso questo legame per amore o per karma, e riuscendo a superare il momento più buio della loro esistenza.


CONTINUA

giovedì 26 luglio 2012

Come la neve

Come la neve.
Avrebbe voluto essere come la neve: candida, impalpabile, inafferrabile.
Invece era il suo cuore ad essere come la neve: gelido, soffocato, immobile.
La vita l'aveva resa refrattaria alle persone, al contatto umano; la paura l'aveva resa gelida.
Non si dà confidenza agli sconosciuti, ma nemmeno ai conosciuti.
Il suo motto.
Aveva il corpo ricoperto di tatuaggi per coprire la pelle piena di lividi agli occhi degli altri, e per ricordarne ai propri l'esatta posizione.
"Mi entusiasma sempre la neve!"
Una ragazzina dai capelli biondi e gli occhi sognanti, fissava estasiata la prima nevicata dell'anno dalla finestra accanto alla sua.
Senza rispondere, tornò ai propri pensieri.
Come la neve. Avrebbe voluto essere come la neve.

lunedì 23 luglio 2012

Ti Amo, come la Quercia ama il Sole.
Alla mia ombra riparati, Fiore,
che nessuno più potrà vedere.

lunedì 16 luglio 2012

Mefisto

La stretta stanza era soffocante. L'aria calda di pieno Agosto, irrespirabile. Aprì la finestra, in cerca di un soffio di vento che potesse accarezzargli il viso ed il cuore. Attese due minuti, ma dal mondo ottenne solo rumore, smog e irritazione come risposta. Seccato, richiuse la finestra.
"Devo decidermi a comprare un ventilatore", si disse.
"Posso farlo io", rispose una voce.
Proprio davanti la porta, stava un uomo, vestito elegantemente di nero, che lo guardava con un sorrisetto sardonico.
"Posso farlo io" ripetè lo sconosciuto "Posso mettere addirittura un condizionatore, se vuoi. Sigaretta?"
"No grazie. La padrona di casa non vuole che si fumi in camera." rispose, rendendosi conto che la risposta giusta sarebbe dovuta essere una domanda.
"Ah, non preoccuparti. Ci penso io" chiocciò l'uomo, sempre tenendo il pacchetto in segno d'offerta.
Finalmente, Marco, si risolse dallo stupore e chiese:
"Chi diavolo sei tu?"
"Uh non c'è mica bisogno di offendere in questo modo! Anche se non ci sei andato molto lontano. Ho molti nomi, in molte lingue, ma credo tu possa chiamarmi Mefisto."
"Mefisto...Mefisto?!?"
"Lui. Cioè, io."
Finalmente si convinse ad accettare la sigaretta che lo sconosciuto non aveva smesso di offrirgli, come se fosse sicuro che l'avrebbe accettata, e, accendendola, si diede del pazzo.
"Tutta colpa del caldo" pensò.
"Oh sì, e vedrai, in inverno sarà colpa del freddo e in primavera colpa della febbre da fieno."
L'espressione dello sconosciuto divenne più seria e cupa.
"Farai meglio ad accettarlo, ragazzo. Ti ho scelto e non me ne andrò facilmente."
Un battito di ciglia segnò il momento della scomparsa.
La sigaretta bruciava sbigottita tra le dita, come colui che la reggeva.

martedì 26 giugno 2012

E se..

Chi dice che ci sia un modo giusto per vivere la tristezza?
Chi dice che il modo giusto non sia il tuo? O il mio.

E se il dolore, il dolore vero, fosse il restare sospesi a metà tra il viverlo ed il dimenticarlo? Il lasciarlo sempre lì, in attesa, vivere emozioni diverse nel mentre: ridere, sorridere, emozionarsi, stupirsi e poi tornare ad essere superficialmente tristi. Perchè la tristezza è sempre lì. Perchè si vive di più e più a lungo non affrontandola a pieno,ma centellinandola. Perchè sia duratura ed intensa a suo modo. Perchè forse viverla fino in fondo significa quasi non viverla, superarla tutta d'un fiato.


E se fosse questa la vera tristezza?


E la felicità. Prova a pensare alla felicità: te la ricordi?

La felicità è l'attesa di essa ed il ricordo; il momento preciso in cui sei felice, è così effimero che te ne accorgi solo quando non lo sei più.

domenica 24 giugno 2012

Scontro


Ed all'improvviso il mondo si spense.
Era sola in quel budello. La torcia l'aveva abbandonata, chissà forse le pile erano scariche oppure aveva già attraversato la barriera. Il cuore batteva all'impazzata, rumori sconosciuti e fino a quel momento non percepiti, sembravano assordarla. Il fiato sembrava spezzarlesi in gola. Un basso ringhio dietro la schiena la fece sobbalzare. Il buio era totale, eppure brulicava di creature. Si costrinse a calmarsi concentrandosi sul proprio respiro. 
Inspirare. Espirare. Inspirare. Espirare.
D'un tratto, una consapevolezza dolorosissima la investì: si trovava al di là della barriera magica. Da questo momento in poi, doveva dimenticare il mondo conosciuto e civilizzato, per entrare in un medioevale mondo fatto di magie, esseri fatati, mostri e cavalieri.
Il ringhio si fece più vicino. Sapeva che i suoi sensi erano tesi e in allerta, e il non sentire nessun odore della bestia, nessun minimo rumore che le sue zampe potessero fare, significava solo una cosa: illusione.
"Non devo credere che sia vero" si disse.
Infatti a poco a poco, il buio cessò di essere foriero di vita, per restare soltanto buio. Denso, fetido, spaventoso buio.
"Bene. Non credevo che ce la potessi fare così presto. Sono sorpreso"
Una voce fredda riecheggiò tra i cunicoli. Una voce familiare.
"Chi sei? Mostrati."
"Sono proprio davanti a te. Illuminami." la schernì la voce.
Conosceva le parole da pronunciare, ma non era sicura funzionassero, poichè nel mondo "normale" la magia era bandita; per quanto si fosse provata, non era mai riuscita in nessun trucchetto. Ci voleva un grande potere per vincere la restrizione, e lei, decisamente, non lo aveva.
"Aleacta lux".
Un globo di luce azzurra comparve nella sua mano, sorprendendola non poco.
"Brava. E adesso guardami".
Il globo si avviò verso la voce, quasi fosse attratto da una forza misteriosa. Per un attimo illuminò un volto di un giovane uomo, i suoi occhi vitrei, e una bocca aperta, spalancata. Il globo di luce si tuffò all'interno della gola sparendo, e fu di nuovo buio.
"Io sono l'oscurità. La tua pallida luce è attratta da me, desiderosa di illuminarmi, ma serve solo a nutrire il mio buio. Anche l'oscurità emette luce, sai?".
E così dicendo, l'intero cunicolo venne avvolto da una strana luce nera, spettrale. Come se la notte fosse entrata d'improvviso sotto terra, rischiarando. 
Così le permise di vederlo.
"Luke..."
Colui che era venuta a salvare, colui che amava profondamente, era colui che avrebbe dovuto sconfiggere.