lunedì 15 luglio 2013

Una lunga notte



Quella notte ne uscì indenne.Ma l’avrebbe ricordata per sempre negli anni a venire, le sarebbe rimasta dentro come un marchio impresso a fuoco, così come di fuoco, erano gli occhi del mostro, quegli occhi che la fissavano pieni di un odio sconfinato e di una furia inaudia. Non avrebbe dimenticato mai neppure quelli. Quella notte era riuscita a sfuggirgli rifugiandosi nel bosco che circondava la casa. 

La mia maledetta casa.
 
Non sapeva bene come avesse fatto, ma aveva spalancato la piccola porta d’ingresso, correndo via per i campi, incurante dei piedi nudi e delle ferite che le pietre le provocavano. Le interessava solo correre via, il più lontano possibile. Sentiva il mostro a pochi passi dietro di lei, ne sentiva i passi pesanti sul terreno, poteva quasi percepirne il fiato sulla pelle; era certa che avesse un ghigno a mo’ di sorriso stampato sulla faccia.
“Ti piace giocare così?” le ringhiò, quasi divertito.
Lui era troppo veloce e lei poco più che una bambina, un cucciolo spaventato che correva all’impazzata. Presto l’avrebbe raggiunta. Sentì la paura invaderle la mente, ma, in qualche modo, riuscì a controllarsi: non doveva cedere, doveva escogitare qualcosa e puntare tutto sulle armi a sua disposizione. Era molto più agile del mostro e conosceva a fondo quei boschi, ci giocava fin dalla tenera età insieme ai fratelli. Istintivamente, virò di scatto verso un vecchio tronco semi abbattuto. Il mostro era sempre più vicino, non avrebbe avuto il tempo di vedere l’ostacolo. Non appena vi fu davanti, alla svelta, si infilò nella stretta fessura tra il tronco ed il masso. Ma lui non fu altrettanto veloce né agile. Con un tonfo, andò a sbattere la testa e ruzzolò all’indietro.
“Maledetta, non riuscirai a sfuggirmi!”
Quel piccolo intoppo lo aveva reso ancora più famelico. Sembrava quasi che quella sorta di caccia, fosse un gioco per lui, intriso di un perverso piacere.
“Giulia? Dove ti sei nascosta?”
La sua voce si fece ad un tratto dolce, ammaliante, ma era solo un espediente perché dolce, il mostro, non lo era mai stato.
Giulia intuì che la soluzione migliore era lasciare che le passasse avanti, facendogli credere di essersi rifugiata al fiume. Si nascose dietro un cespuglio ed attese, con il cuore che le batteva a mille. Si chiese se lui avesse potuto sentirlo, se quel suono che sembrava assordante l’avrebbe tradita. Invece, incredibilmente, lo vide passarle davanti senza che si accorgesse di nulla. Attese ancora qualche minuto immobile, fino a che scorse un puntino luminoso che si muoveva sopra il fiume in cerca di lei. 

Aveva calcolato che sarei fuggita. Si è portato la torcia.

Quello era il momento giusto di agire, finalmente era lei ad essergli alle spalle e a più di 30 metri di distanza. Si mosse cautamente, attenta a non far rumore, ed in questo benedisse i suoi piedi scalzi. In un primo momento pensò di correre verso la strada e fermare una macchina, ma con orrore si ricordò che di notte nessun’auto attraversava quelle campagne, ed inoltre sotto i lampioni sarebbe stata visibile. Scrutava la strada in cerca di un’idea, di un riparo ed i suoi occhi incontrarono la vecchia ruspa abbandonata. Si sarebbe rifugiata lì dentro e non si sarebbe più mossa. In un lampo si avvicinò alla ruspa e, con uno scatto felino, si issò sulla ruota e si infilò nel cassone senza far il benchè minimo rumore. Un sorriso le sfiorò le labbra: quante volte si era nascosta lì dentro quando giocava a nascondino coi fratelli? Non l’avevano mai scoperta, era un posto sicuro. Respirando meno rapidamente, si concesse di sbirciare fuori: vedeva le luci della propria abitazione a pochi metri da lei. Con sommo orrore, vide che anche il mostro si avvicinava dalla sua parte. Si ricacciò in fretta nel cassone e si premette forte le mani sulla bocca, temendo che lui avrebbe sentito i singhiozzi. Per un folle istante pensò di arrendersi, di uscire allo scoperto e lasciarsi trovare, forse lui sarebbe stato clemente, quella volta. Ma poi si ricordò che clemente non lo era mai stato, nemmeno quando lei, docile, aveva fatto tutto ciò che lui le chiedeva.
Lo sentì ridere, la fiutava, fiutava l’odore della sua paura come un animale selvatico fiuta l’odore della preda. Era sempre più vicino, era certa che l’avrebbe scoperta. Le lacrime iniziarono a solcarle il volto copiose. Era la fine. Tutto finito.
Un rumore in lontananza, come di uno scalpiccìo.
“Eccoti! Non mi scappi Giulia!” urlò con una risata.
Qualsiasi cosa fosse, le aveva salvato la vita. Molto probabilmente un animale selvatico o un gatto che si era spaventato sentendo avvicinarsi il mostro. Anche quella piccola creaturina percepiva l’aura di cattiveria. Giulia la ringraziò mentalmente e discese dal cassone, diretta verso il fiume. Quando si mise al riparo, dietro una roccia bianca, lo sentì urlare di frustrazione, mentre sbatteva la porta di casa.
“Dove cazzo ti sei nascosta?”
Era finita. Tremava ancora per il freddo e la paura: era una gelida notte di ottobre e lei aveva solo la camicia da notte addosso. Ma era finita. Quella notte il mostro non l’aveva avuta vinta. Quella notte suo padre non l’avrebbe picchiata.