Ho letto il mio primo libro a 4 anni. Ho
imparato a leggere perchè mio fratello andava a scuola ed io non volevo
esser da meno; ho imparato a leggere per sfida. Era un libricino
sottile, ma non di quelli per bambini, con le scritte enormi e troppe
figure, no, era un libro vero. Una favola.
"La gatta bianca", di Madame D'Aulnoy con traduzione di Collodi.
Ho iniziato in grande.
Dopo averci faticato su, aver imparato a leggere, aver consumato le
pagine, in quel preciso istante, quando la parola Fine segnò il mio
primo traguardo, lì decisi cosa avrei voluto essere da grande.
Cosa avrei
voluto essere, non fare.
Una scrittrice.
venerdì 15 febbraio 2013
venerdì 8 febbraio 2013
sabato 2 febbraio 2013
Riflesso
Passeggiava. Con le dita accarezzava
l’aria; un vezzo che si portava dietro fin da bambina, anche ora, che
bambina non lo era più.
Il parco era solitario: nessuno
passeggiava per i suoi viali, nessuna risata riecheggiava tra i suoi
rami, nessuna coppia amoreggiava sui suoi prati.
L’inverno si era portato via le persone come le foglie.
C’era solo lei e le sue dita che accarezzavano l’aria. Si fermò sulle rive del laghetto e si sedette a terra. Non le importava di sporcarsi i vestiti, amava quel contatto, amava accarezzare anche la terra come l’aria. Con un dito toccò la superficie dell’acqua, vi scivolò sopra, come disegnando su uno specchio. L’acqua sembrava risponderle, come se al di là qualcun altro stesse facendo lo stesso gioco. Si sporse e vide riflessa un’altra se stessa, del tutto uguale nell’aspetto, ma diversa nella vita: la se stessa nello specchio. Aveva scoperto la se stessa nello specchio intorno ai 13 anni, quando ogni donna subisce il cambiamento e vorrebbe ribellarsi; lì vi trovava rifugio: la se stessa nello specchio era a volte ancora bambina, a volte già donna. Ora la vedeva riflessa sul lago. Accanto a lei c’era un giovane sorridente, sembrava felice, sembrava vivo, era ancora avivo con la se stessa nello specchio, si sorridevano e si amavano.
Irou.
Pallido ricordo di un’esistenza mai vissuta. Un bacio mai dato. Qualcuno mai conosciuto la cui mancanza brucia. Come passarsi un pezzo di vetro sulla pelle.
Avrei saputo amarti se non te ne fossi andato così presto.
Una lacrima scese lungo il viso e cadde nell’acqua, dissolvendo per un momento il riflesso.
Anche la se stessa nello specchio era di nuovo sola.
C’era solo lei e le sue dita che accarezzavano l’aria. Si fermò sulle rive del laghetto e si sedette a terra. Non le importava di sporcarsi i vestiti, amava quel contatto, amava accarezzare anche la terra come l’aria. Con un dito toccò la superficie dell’acqua, vi scivolò sopra, come disegnando su uno specchio. L’acqua sembrava risponderle, come se al di là qualcun altro stesse facendo lo stesso gioco. Si sporse e vide riflessa un’altra se stessa, del tutto uguale nell’aspetto, ma diversa nella vita: la se stessa nello specchio. Aveva scoperto la se stessa nello specchio intorno ai 13 anni, quando ogni donna subisce il cambiamento e vorrebbe ribellarsi; lì vi trovava rifugio: la se stessa nello specchio era a volte ancora bambina, a volte già donna. Ora la vedeva riflessa sul lago. Accanto a lei c’era un giovane sorridente, sembrava felice, sembrava vivo, era ancora avivo con la se stessa nello specchio, si sorridevano e si amavano.
Irou.
Pallido ricordo di un’esistenza mai vissuta. Un bacio mai dato. Qualcuno mai conosciuto la cui mancanza brucia. Come passarsi un pezzo di vetro sulla pelle.
Avrei saputo amarti se non te ne fossi andato così presto.
Una lacrima scese lungo il viso e cadde nell’acqua, dissolvendo per un momento il riflesso.
Anche la se stessa nello specchio era di nuovo sola.
venerdì 1 febbraio 2013
Ali
Sedeva con le gambe nel vuoto. La
città ai suoi piedi era fradicia ed incurante di ciò che succedeva all’infuori
di se stessa. Anche lui era fradicio, ma ne era felice: la pioggia, la nebbia,
il cielo torvo gli procuravano un senso di benessere, come tornare a respirare
dopo essere stati a lungo sott’acqua. Non a caso aveva scelto quel giorno.
La sentì avvicinarsi, camminava
lenta alle sue spalle. Se pur non la vedeva, ne poteva immaginare il movimento:
i capelli che le ricadevano scomposti sulle spalle, il seno ondeggiante che
sfiorava la maglietta, i fianchi e le gambe sottili, strette nei jeans. Avrebbe
passato l’eternità a guardarla. Era così delicata, così sottile, come un velo
che nascondeva chissà quali segreti, ma che lasciava trasparire solo le ombre.
Lei non gli aveva mai permesso di attraversare quel velo, nonostante tutto.
“Ciao” la sua voce era miele
mista a paura.
“Non dovresti essere qui. Te lo
avevo scritto nella lettera.”
“Lo so. Ma sai che non ascolto
mai.” un sorriso. “Non farlo Moth” un tremore.
“Devo farlo Lis. Sai, ho ancora
le ali, credo di averle. Devo volare, devo andare via, e questo è l’unico modo
che ho.”
“Non farlo Moth, non è l’unico
modo, ne troveremo uno più sano.”
“Lis muori con me. Muori con me e
voleremo in due”
“In tre” lo corresse lei. “Lo
ucciderei se volassi con te.”
“Sarebbe il regalo più bello che
tu possa fargli. Non vedrebbe mai la sofferenza, non subirebbe mai ciò che hanno
subito i suoi genitori, non vivrebbe mai ciò che tu vivi. Il regalo più grande
sarebbe volare con noi.”
“Tu deliri. Non posso farlo.”
Il silenzio si fece assordante.
“Guarda ogni giorno quassù, dalla
finestra di casa. Un giorno mi vedrai volare anche tu.”
“Moth aspetta…”
Ma egli non la sentiva più, aveva
spiegato le sue maestose, invisibili ali nere ed era volato giù, sull’asfalto.
Lei rimase a fissare il vuoto,
incurante del mondo, per un tempo interminabile.
Non sentiva nulla. Era tutto
fermo, immobile.
Una piuma nera le sfiorò il viso.
Ed esplose il dolore.
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