La mia pelle è fatta di carta.
Brucia.
Bruciano le parole scritte sopra.
Incise.
Disegnate da tutti gli altri.
Dopo ogni rogo,
Solo una frase rimane impressa:
Noli me tangere.
Pensieri di una Lady
lunedì 31 luglio 2017
martedì 18 marzo 2014
La settimana
Le mie settimane non sono solo giorni; sono un miscuglio di sensazioni diverse.
Come quelle di tutti, si potrebbe dire. Come quelle di alcuni, direi io.
Il Lunedì si presenta col suo blu scuro intenso e si traveste da m. O meglio, si traveste da inglese.
Oh, non fraintendetemi, so benissimo come si scriva lunedì, ma è come se le due scritture si sovrapponessero e la m finisca per prevalere. Si atteggia contenta ed elegante, fa bella mostra di sè in primo piano, mentre tutte le altre lettere (quelle del lunedì e del monday) la seguono a ruota, mantenendosi in disparte.
Il Martedì ha solo due dimensioni, nel suo rosso allegro e gommoso: altezza e lunghezza. Non possiede spessore, e si lascia guardare dall'alto. Il Martedì ha la sua M maiuscola e sdegnosa. E' più in su, lei, sebbene sia una certezza che non vedo.
Il meRcoledì è un piatto e rigoglioso prato verde scuro, infinito nella sua lunghezza. E' riposante, è profumato, è placido. Ha una R maiuscola, ma più ci penso, più non riesco a spiegarmene la ragione. Ho pensato che, forse, le altre lettere, abbiano voluto avere una visione diversa allungando la R verso l'alto, nella speranza di sapere cosa ci fosse al di là di quel prato. Ma non lo sappiamo nè io e nè loro, e quindi credo abbiano abbandonato il progetto. Sostanzialmente quella R è un ecomostro in rovina.
Il giovedì è un coniglietto arancione che si nasconde. Pur focalizzando l'attenzione su di lui, tutto ciò che si scorge è uno spazio vuoto e delle risatine.
Il venerdI soffre. Il suo verde acido cola lungo le lettere, come corroso da una qualche sostanza chimica che le fa sciogliere. E' bucato. E' malato. L'accento sulla I è stato sciolto via, e giace in una pozza informe ai suoi piedi. Come un urlo di vendetta, la I sua compagna si erge alta e forte e piangente senza il suo accento.
Il sabato è senza nuvole. Dà sicurezza e tranquillità. E' un cielo azzurro.
La domenica si srotola su un tavolo come una tovaglia bianca, con le proprie lettere in macramè. Ha tutte le ombre e le sfumature in rosa pallido. E' bianca e rosa allo stesso tempo, ma il rosa si vede solo se la si guarda in un certo stato d'animo. Altrimenti se ne sente solo il profumo.
Ogni settimana, le mie settimane sono così. Da sempre.
E i giorni non sono sol giorni.
Come quelle di tutti, si potrebbe dire. Come quelle di alcuni, direi io.
Il Lunedì si presenta col suo blu scuro intenso e si traveste da m. O meglio, si traveste da inglese.
Oh, non fraintendetemi, so benissimo come si scriva lunedì, ma è come se le due scritture si sovrapponessero e la m finisca per prevalere. Si atteggia contenta ed elegante, fa bella mostra di sè in primo piano, mentre tutte le altre lettere (quelle del lunedì e del monday) la seguono a ruota, mantenendosi in disparte.
Il Martedì ha solo due dimensioni, nel suo rosso allegro e gommoso: altezza e lunghezza. Non possiede spessore, e si lascia guardare dall'alto. Il Martedì ha la sua M maiuscola e sdegnosa. E' più in su, lei, sebbene sia una certezza che non vedo.
Il meRcoledì è un piatto e rigoglioso prato verde scuro, infinito nella sua lunghezza. E' riposante, è profumato, è placido. Ha una R maiuscola, ma più ci penso, più non riesco a spiegarmene la ragione. Ho pensato che, forse, le altre lettere, abbiano voluto avere una visione diversa allungando la R verso l'alto, nella speranza di sapere cosa ci fosse al di là di quel prato. Ma non lo sappiamo nè io e nè loro, e quindi credo abbiano abbandonato il progetto. Sostanzialmente quella R è un ecomostro in rovina.
Il giovedì è un coniglietto arancione che si nasconde. Pur focalizzando l'attenzione su di lui, tutto ciò che si scorge è uno spazio vuoto e delle risatine.
Il venerdI soffre. Il suo verde acido cola lungo le lettere, come corroso da una qualche sostanza chimica che le fa sciogliere. E' bucato. E' malato. L'accento sulla I è stato sciolto via, e giace in una pozza informe ai suoi piedi. Come un urlo di vendetta, la I sua compagna si erge alta e forte e piangente senza il suo accento.
Il sabato è senza nuvole. Dà sicurezza e tranquillità. E' un cielo azzurro.
La domenica si srotola su un tavolo come una tovaglia bianca, con le proprie lettere in macramè. Ha tutte le ombre e le sfumature in rosa pallido. E' bianca e rosa allo stesso tempo, ma il rosa si vede solo se la si guarda in un certo stato d'animo. Altrimenti se ne sente solo il profumo.
Ogni settimana, le mie settimane sono così. Da sempre.
E i giorni non sono sol giorni.
giovedì 23 gennaio 2014
lunedì 16 dicembre 2013
venerdì 18 ottobre 2013
Giochi proibiti
La segretaria mise in ordine la
scrivania: le matite allineate sulla destra dalla più consumata a quella meno, tutte rigorosamente
appuntite, la risma di fogli sulla sinistra a formare un perfetto
parallelepipedo, la cornice argentata con la foto del nipotino sorridente
nell’acqua, il computer perpendicolare alla scrivania e, dietro, la targhetta.
R.
Notte, addetta alla clientela.
Lucidava le lettere dorate ogni
mattina fino a farle splendere.
La sala d’aspetto era già piena:
molte donne coi loro animaletti al guinzaglio attendevano pazientemente il
proprio turno. Ognuna di loro, pensò la segretaria, aveva indosso molto più di
quanto lei riuscisse a guadagnare in un anno; ma quello infondo, non era posto
per gente comune, era un posto per clienti facoltosi e per una ristretta
cerchia degli stessi.
Mentre era assorta in questi
pensieri, l’ascensore si aprì ed una cliente entrò con il suo animale al
guinzaglio.
Tutti nella stanza si voltarono a
guardarla. Era esattamente la perfetta descrizione della sensualità: i fianchi
generosi, il seno burroso, la vita sottile, le gambe snelle e lunghe. Due occhi
di ghiaccio ammaliavano chiunque avesse il coraggio di guardarli. Il passo
sinuoso ipnotizzava, ballando una strana danza al suono dei tacchi risonanti
sul pavimento.
Si diresse direttamente alla
reception.
“Buongiorno Miss Redou ”
“Buongiorno cara.”
“Prego, la sala Rouge è pronta.
Da questa parte.”
Miss Redou non aveva bisogno di
fare la fila, e nessuno dei presenti si sarebbe mai sognato di polemizzare su
ciò: tutto quello che potevano fare, era restare a guardarla senza proferir
parola.
Attraversarono il corridoio. Le
pareti erano di un tenue e rilassante verde e su entrambi i lati vi si aprivano
porte, dalle quali provenivano i suoni soffocati, le risa e le grida dei
giochi. In fondo al corridoio, si apriva una porta rossa.
Sala
Rouge.
“Prego. Le auguro buon
divertimento”, disse la segretaria.
Miss Redou la congedò con un
sorriso ed entrò.
Dopo aver chiuso la porta dietro
di sé, tolse il guinzaglio al suo animaletto da compagnia e si accomodò su un
divano stile Luigi XIV. Accanto, sul tavolino, una serie di corde e legacci.
“Ed ora vediamo se ti ricordi ciò
che ti ho insegnato. Come ti chiami?”
“Mi chiamo Dusten, padrona.”
“E…?”
“E ti amo, padrona”.
Lei sorrise. Il gioco aveva
inizio.
lunedì 15 luglio 2013
Una lunga notte
Quella notte ne uscì indenne.Ma l’avrebbe ricordata
per sempre negli anni a venire, le sarebbe rimasta dentro come un marchio
impresso a fuoco, così come di fuoco, erano gli occhi del mostro, quegli occhi
che la fissavano pieni di un odio sconfinato e di una furia inaudia. Non
avrebbe dimenticato mai neppure quelli. Quella notte era riuscita a sfuggirgli
rifugiandosi nel bosco che circondava la casa.
La
mia maledetta casa.
Non sapeva bene come avesse fatto, ma aveva
spalancato la piccola porta d’ingresso, correndo via per i campi, incurante dei
piedi nudi e delle ferite che le pietre le provocavano. Le interessava solo
correre via, il più lontano possibile. Sentiva il mostro a pochi passi dietro
di lei, ne sentiva i passi pesanti sul terreno, poteva quasi percepirne il
fiato sulla pelle; era certa che avesse un ghigno a mo’ di sorriso stampato
sulla faccia.
“Ti piace giocare così?” le ringhiò, quasi divertito.
Lui era troppo veloce e lei poco più che una
bambina, un cucciolo spaventato che correva all’impazzata. Presto l’avrebbe
raggiunta. Sentì la paura invaderle la mente, ma, in qualche modo, riuscì a
controllarsi: non doveva cedere, doveva escogitare qualcosa e puntare tutto
sulle armi a sua disposizione. Era molto più agile del mostro e conosceva a
fondo quei boschi, ci giocava fin dalla tenera età insieme ai fratelli.
Istintivamente, virò di scatto verso un vecchio tronco semi abbattuto. Il
mostro era sempre più vicino, non avrebbe avuto il tempo di vedere l’ostacolo.
Non appena vi fu davanti, alla svelta, si infilò nella stretta fessura tra il
tronco ed il masso. Ma lui non fu altrettanto veloce né agile. Con un tonfo,
andò a sbattere la testa e ruzzolò all’indietro.
“Maledetta, non riuscirai a sfuggirmi!”
Quel piccolo intoppo lo aveva reso ancora più
famelico. Sembrava quasi che quella sorta di caccia, fosse un gioco per lui,
intriso di un perverso piacere.
“Giulia? Dove ti sei nascosta?”
La sua voce si fece ad un tratto dolce, ammaliante,
ma era solo un espediente perché dolce, il mostro, non lo era mai stato.
Giulia intuì che la soluzione migliore era lasciare
che le passasse avanti, facendogli credere di essersi rifugiata al fiume. Si
nascose dietro un cespuglio ed attese, con il cuore che le batteva a mille. Si
chiese se lui avesse potuto sentirlo, se quel suono che sembrava assordante
l’avrebbe tradita. Invece, incredibilmente, lo vide passarle davanti senza che
si accorgesse di nulla. Attese ancora qualche minuto immobile, fino a che
scorse un puntino luminoso che si muoveva sopra il fiume in cerca di lei.
Aveva
calcolato che sarei fuggita. Si è portato la torcia.
Quello era il momento giusto di agire, finalmente
era lei ad essergli alle spalle e a più di 30 metri di distanza. Si mosse
cautamente, attenta a non far rumore, ed in questo benedisse i suoi piedi
scalzi. In un primo momento pensò di correre verso la strada e fermare una
macchina, ma con orrore si ricordò che di notte nessun’auto attraversava quelle
campagne, ed inoltre sotto i lampioni sarebbe stata visibile. Scrutava la
strada in cerca di un’idea, di un riparo ed i suoi occhi incontrarono la
vecchia ruspa abbandonata. Si sarebbe rifugiata lì dentro e non si sarebbe più
mossa. In un lampo si avvicinò alla ruspa e, con uno scatto felino, si issò
sulla ruota e si infilò nel cassone senza far il benchè minimo rumore. Un
sorriso le sfiorò le labbra: quante volte si era nascosta lì dentro quando
giocava a nascondino coi fratelli? Non l’avevano mai scoperta, era un posto
sicuro. Respirando meno rapidamente, si concesse di sbirciare fuori: vedeva le
luci della propria abitazione a pochi metri da lei. Con sommo orrore, vide che
anche il mostro si avvicinava dalla sua parte. Si ricacciò in fretta nel
cassone e si premette forte le mani sulla bocca, temendo che lui avrebbe
sentito i singhiozzi. Per un folle istante pensò di arrendersi, di uscire allo
scoperto e lasciarsi trovare, forse lui sarebbe stato clemente, quella volta.
Ma poi si ricordò che clemente non lo era mai stato, nemmeno quando lei,
docile, aveva fatto tutto ciò che lui le chiedeva.
Lo sentì ridere, la fiutava, fiutava l’odore della
sua paura come un animale selvatico fiuta l’odore della preda. Era sempre più
vicino, era certa che l’avrebbe scoperta. Le lacrime iniziarono a solcarle il
volto copiose. Era la fine. Tutto finito.
Un rumore in lontananza, come di uno scalpiccìo.
“Eccoti! Non mi scappi Giulia!” urlò con una risata.
Qualsiasi cosa fosse, le aveva salvato la vita.
Molto probabilmente un animale selvatico o un gatto che si era spaventato
sentendo avvicinarsi il mostro. Anche quella piccola creaturina percepiva
l’aura di cattiveria. Giulia la ringraziò mentalmente e discese dal cassone,
diretta verso il fiume. Quando si mise al riparo, dietro una roccia bianca, lo
sentì urlare di frustrazione, mentre sbatteva la porta di casa.
“Dove cazzo ti sei nascosta?”
Era finita. Tremava ancora per il freddo e la paura:
era una gelida notte di ottobre e lei aveva solo la camicia da notte addosso.
Ma era finita. Quella notte il mostro non l’aveva avuta vinta. Quella notte suo
padre non l’avrebbe picchiata.
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