Sedeva con le gambe nel vuoto. La
città ai suoi piedi era fradicia ed incurante di ciò che succedeva all’infuori
di se stessa. Anche lui era fradicio, ma ne era felice: la pioggia, la nebbia,
il cielo torvo gli procuravano un senso di benessere, come tornare a respirare
dopo essere stati a lungo sott’acqua. Non a caso aveva scelto quel giorno.
La sentì avvicinarsi, camminava
lenta alle sue spalle. Se pur non la vedeva, ne poteva immaginare il movimento:
i capelli che le ricadevano scomposti sulle spalle, il seno ondeggiante che
sfiorava la maglietta, i fianchi e le gambe sottili, strette nei jeans. Avrebbe
passato l’eternità a guardarla. Era così delicata, così sottile, come un velo
che nascondeva chissà quali segreti, ma che lasciava trasparire solo le ombre.
Lei non gli aveva mai permesso di attraversare quel velo, nonostante tutto.
“Ciao” la sua voce era miele
mista a paura.
“Non dovresti essere qui. Te lo
avevo scritto nella lettera.”
“Lo so. Ma sai che non ascolto
mai.” un sorriso. “Non farlo Moth” un tremore.
“Devo farlo Lis. Sai, ho ancora
le ali, credo di averle. Devo volare, devo andare via, e questo è l’unico modo
che ho.”
“Non farlo Moth, non è l’unico
modo, ne troveremo uno più sano.”
“Lis muori con me. Muori con me e
voleremo in due”
“In tre” lo corresse lei. “Lo
ucciderei se volassi con te.”
“Sarebbe il regalo più bello che
tu possa fargli. Non vedrebbe mai la sofferenza, non subirebbe mai ciò che hanno
subito i suoi genitori, non vivrebbe mai ciò che tu vivi. Il regalo più grande
sarebbe volare con noi.”
“Tu deliri. Non posso farlo.”
Il silenzio si fece assordante.
“Guarda ogni giorno quassù, dalla
finestra di casa. Un giorno mi vedrai volare anche tu.”
“Moth aspetta…”
Ma egli non la sentiva più, aveva
spiegato le sue maestose, invisibili ali nere ed era volato giù, sull’asfalto.
Lei rimase a fissare il vuoto,
incurante del mondo, per un tempo interminabile.
Non sentiva nulla. Era tutto
fermo, immobile.
Una piuma nera le sfiorò il viso.
Ed esplose il dolore.
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