lunedì 13 febbraio 2012

Lei


Lei mi arriva precisa al petto. 
Potrei appoggiare facilmente il mio mento sul suo capo. E' piccola nelle mie braccia, come un uccellino. La sento tremare mentre appoggia l'orecchio su di me. 

"Fammi sentire il tuo cuore". 

Sentilo, prendilo, è tuo. Il mio tempo, la mia anima, il mio sonno e la mia veglia. E' tutto tuo.  

Ma dove lo metterai il mio amore per te, che è così immenso e pulsante come un tappeto di luci? Dove lo metterai, che sei così piccina. 

Una foglia scivola leggera nell'aria, scivola verso il sonno. E' Settembre.

Lei mi arriva precisa al cuore.

martedì 7 febbraio 2012

Memorie


Se dovessi dire perchè tutto è iniziato, direi per follia. La follia di una ragazzina impaurita e tremante che ha deciso di vivere la sua avventura. Ma forse dovrei iniziare dal principio. Sebbene sia passato molto tempo, quasi settant'anni, ricordo ancora bene la stupefacente entrata del Tempio, le sue pareti affrescate d'oro e quelle strane creature senza volto, simili ad ombre, che mi invitavano ad entrare.

Avevo 10 anni la prima volta che misi piede in quel bosco; mi colpirono subito gli alberi, così vivi e "umani". Giurerei che si potessero anche muovere, poichè ricordo di uno splendido sassofrasso visto e ritrovato in due punti diversi. Sembrava mi guardassero e aspettassero proprio me: scuotevano le loro fronde al ritmo di un vento inesistente. 

Mi chiamo Mabel Globinder, che nella lingua degli esseri senza volto significa "colei che guida il fiume" e sono l'ultima sacerdotessa del tempio di Maila.  A quei tempi mi chiamavano la strega bambina, per la mia stranissima capacità di addormentarmi in un posto e svegliarmi in un altro, magari sospesa a 10 centimetri da terra. Chissà se i miei genitori erano a conoscenza del significato del nome che mi regalarono, chissà se sapevano che Maila stessa, la Dea della rinascita, aveva soffiato nelle mie narici ad appena un giorno di vita. Di certo non sapevano, quando mi invitarono a cercar funghi e more, di mandarmi incontro al mio inesorabile destino.

Quel giorno indossavo un vestitino blu, il primo vestito di mussolina della mia vita, e non facevo altro che lisciarlo seguendo il consiglio della mamma: "Le signorine bene educate portano sempre vestiti puliti e stirati". Ero annoiata; nel giardino della nostra villa si stava tenendo l'ennesimo party estivo con tutte le celebrità che i miei genitori ritenevano in voga in quel periodo. Mia madre, vedendomi svogliata a quel modo e temendo che una delle mie stranezze potesse spaventare gli ospiti, mi invitò ad andare nel bosco confinante la villa a cercar more e funghi, raccomandandomi di non allontanarmi troppo. Così, presi il mio cestino e mi avventurai, alquanto intimidita, per il sentiero. Mentre camminavo, nell'erba poco distante, notai un luccichio. I miei occhi di bambina ne erano affascinati. "Una fata!" dissi tra me e me, pensando alle illustrazioni su quel grosso librone che amavo tanto, che ritraeva delle fate le cui ali erano intrecciate con fili d'oro che brillavano al sole. Avvicinandomi con circospezione, per paura che potesse volare via, raggiunsi la fonte della luce, ma con somma delusione vidi che non era una fata, ma una collana. Ciò che brillava era il ciondolo: era fatto di uno strano materiale, simile a vetro e duro come un diamante ma soffice al tatto come una piuma; rappresentava una spirale ed ogni voluta era una spirale stessa, di modo da creare una serie infinita di spirali. Non appena presi in mano la collana, mi sembrò di vedere un lampo di luce blu provenire dal ciondolo, e mi pervase una senso di sollievo, come un ritrovare quella cosa a lungo cercata, come ritornare a casa dopo un lungo viaggio. Misi al collo la collana e proseguii per il sentiero.