venerdì 18 ottobre 2013

Giochi proibiti



La segretaria mise in ordine la scrivania: le matite allineate sulla destra dalla più  consumata a quella meno, tutte rigorosamente appuntite, la risma di fogli sulla sinistra a formare un perfetto parallelepipedo, la cornice argentata con la foto del nipotino sorridente nell’acqua, il computer perpendicolare alla scrivania e, dietro, la targhetta.

R. Notte, addetta alla clientela.

Lucidava le lettere dorate ogni mattina fino a farle splendere.

La sala d’aspetto era già piena: molte donne coi loro animaletti al guinzaglio attendevano pazientemente il proprio turno. Ognuna di loro, pensò la segretaria, aveva indosso molto più di quanto lei riuscisse a guadagnare in un anno; ma quello infondo, non era posto per gente comune, era un posto per clienti facoltosi e per una ristretta cerchia degli stessi.

Mentre era assorta in questi pensieri, l’ascensore si aprì ed una cliente entrò con il suo animale al guinzaglio.

Tutti nella stanza si voltarono a guardarla. Era esattamente la perfetta descrizione della sensualità: i fianchi generosi, il seno burroso, la vita sottile, le gambe snelle e lunghe. Due occhi di ghiaccio ammaliavano chiunque avesse il coraggio di guardarli. Il passo sinuoso ipnotizzava, ballando una strana danza al suono dei tacchi risonanti sul pavimento.

Si diresse direttamente alla reception.

“Buongiorno Miss Redou ”

“Buongiorno cara.”

“Prego, la sala Rouge è pronta. Da questa parte.”

Miss Redou non aveva bisogno di fare la fila, e nessuno dei presenti si sarebbe mai sognato di polemizzare su ciò: tutto quello che potevano fare, era restare a guardarla senza proferir parola.

Attraversarono il corridoio. Le pareti erano di un tenue e rilassante verde e su entrambi i lati vi si aprivano porte, dalle quali provenivano i suoni soffocati, le risa e le grida dei giochi. In fondo al corridoio, si apriva una porta rossa.

Sala Rouge.

“Prego. Le auguro buon divertimento”, disse la segretaria.

Miss Redou la congedò con un sorriso ed entrò.

Dopo aver chiuso la porta dietro di sé, tolse il guinzaglio al suo animaletto da compagnia e si accomodò su un divano stile Luigi XIV. Accanto, sul tavolino, una serie di corde e legacci.

“Ed ora vediamo se ti ricordi ciò che ti ho insegnato. Come ti chiami?”

“Mi chiamo Dusten, padrona.”

“E…?”

“E ti amo, padrona”.

Lei sorrise. Il gioco aveva inizio.