La segretaria mise in ordine la
scrivania: le matite allineate sulla destra dalla più consumata a quella meno, tutte rigorosamente
appuntite, la risma di fogli sulla sinistra a formare un perfetto
parallelepipedo, la cornice argentata con la foto del nipotino sorridente
nell’acqua, il computer perpendicolare alla scrivania e, dietro, la targhetta.
R.
Notte, addetta alla clientela.
Lucidava le lettere dorate ogni
mattina fino a farle splendere.
La sala d’aspetto era già piena:
molte donne coi loro animaletti al guinzaglio attendevano pazientemente il
proprio turno. Ognuna di loro, pensò la segretaria, aveva indosso molto più di
quanto lei riuscisse a guadagnare in un anno; ma quello infondo, non era posto
per gente comune, era un posto per clienti facoltosi e per una ristretta
cerchia degli stessi.
Mentre era assorta in questi
pensieri, l’ascensore si aprì ed una cliente entrò con il suo animale al
guinzaglio.
Tutti nella stanza si voltarono a
guardarla. Era esattamente la perfetta descrizione della sensualità: i fianchi
generosi, il seno burroso, la vita sottile, le gambe snelle e lunghe. Due occhi
di ghiaccio ammaliavano chiunque avesse il coraggio di guardarli. Il passo
sinuoso ipnotizzava, ballando una strana danza al suono dei tacchi risonanti
sul pavimento.
Si diresse direttamente alla
reception.
“Buongiorno Miss Redou ”
“Buongiorno cara.”
“Prego, la sala Rouge è pronta.
Da questa parte.”
Miss Redou non aveva bisogno di
fare la fila, e nessuno dei presenti si sarebbe mai sognato di polemizzare su
ciò: tutto quello che potevano fare, era restare a guardarla senza proferir
parola.
Attraversarono il corridoio. Le
pareti erano di un tenue e rilassante verde e su entrambi i lati vi si aprivano
porte, dalle quali provenivano i suoni soffocati, le risa e le grida dei
giochi. In fondo al corridoio, si apriva una porta rossa.
Sala
Rouge.
“Prego. Le auguro buon
divertimento”, disse la segretaria.
Miss Redou la congedò con un
sorriso ed entrò.
Dopo aver chiuso la porta dietro
di sé, tolse il guinzaglio al suo animaletto da compagnia e si accomodò su un
divano stile Luigi XIV. Accanto, sul tavolino, una serie di corde e legacci.
“Ed ora vediamo se ti ricordi ciò
che ti ho insegnato. Come ti chiami?”
“Mi chiamo Dusten, padrona.”
“E…?”
“E ti amo, padrona”.
Lei sorrise. Il gioco aveva
inizio.
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